Sono tornato - recensione

"La democrazia è un cadavere in putrefazione. Chi sono i buoni? Chi sono i cattivi? Dov'è la patria?"
Con questo pensiero, Benito Mussolini conclude la sua nottata, all'interno di un'edicola romana, dopo essersi aggiornato attraverso giornali, riviste e inserti su ciò che accadde dopo la fatidica domenica mattina a Piazzale Loreto. Vi chiederete: cosa ci fa Mussolini in un'edicola romana nell'anno 2017? È una domanda legittima. Nel film del regista Luca Miniero accade proprio questo: il duce viene catapultato (risorto dalla provvidenza?) nel nostro tempo.
In Sono tornato, Benito viene riportato in vita, forse attraverso la Porta Alchemica o Porta Magica costruita da Massimiliano Savelli Palombara e situata vicino all'omonima villa sul colle Esquilino a Roma. Non è invecchiato, crede di essere ancora nel 1945 ma si ritroverà davanti, prima una città, poi un'Italia completamente cambiate. Anche il suo obiettivo non è cambiato: governare l'Italia come fece per vent'anni durante lo scorso secolo. Il mediocre, ma pieno di idee, regista Andrea Canaletti scova il duce tra le inquadrature del suo documentario scambiandolo per un commediante e, per filmare una storia su di lui, acconsente a girare l'Italia catturando le impressioni del popolo su questo "comico". La situazione diventa incontrollabile quando il canale televisivo per cui lavora Canaletti assume il duce come vero comico all'interno di un format dissacrante, in cui lo spettatore ride davanti all'ideologia fascista perché è ciò vuole sentirsi dire. Vuole anche essere insultato e umiliato: "Eravate un popolo di analfabeti. Dopo ottant'anni torno e vi ritrovo un popolo di analfabeti" Cresce il potere mediatico di Mussolini fino all'escalation finale dove, all'interno di una parodia di C'è posta per te, si confronta e chiede perdono ad un'anziana a cui aveva ucciso il cane a sangue freddo. Anche lui, davanti alla crudeltà verso gli animali, si deve piegare: Mussolini, come per Matteotti, si prenderà le sue responsabilità ma il popolo lo perdonerà e la Storia si ripeterà inevitabilmente. Canaletti cercherà di fermarlo dopo aver scoperto in che modo è comparso questo misterioso personaggio.
Il lungometraggio di Luca Miniero è uscito a febbraio del 2018, poco prima delle elezioni politiche. Forse una coincidenza; i risultati poi hanno parlato da soli come per le interviste che il regista filmava durante le improvvisazioni di Massimo Popolizio relazionandosi con la gente ignara della finzione: le persone non imparano mai. I social e il World Wide Web sono la bomba atomica che crea tabula rasa della Storia e della storiografia: gli atroci crimini vengono dimenticati, sostituendoli con emoji e GIF divertenti. Popolizio è un attore incredibilmente eclettico che si trasforma in un mostro, forse in qualche punto un po' macchietta, che fa paura veramente. Non si può dire la stessa cosa dell'interpretazione di Frank Matano nei panni di Canaletti: forzata e dimenticabile. Dalla scrittura, a tratti banale, emerge ciò che accade nella politica degli ultimi trent'anni: un insieme di ometti che fanno il verso (come dice anche lo stesso duce) a Mussolini, aizzando l'italiano prima contro il comunismo, ormai comunque in disfacimento, poi contro l'immigrato; una pletora di politici che cercano il consenso popolare; un populismo senza violenza, se non quella verbale; tutto questo è quello che Benito cerca di intraprendere nel film, grazie soprattutto al consenso mediatico. La voce della coscienza sarà una povera anziana con l'Alzheimer, deportata dal ghetto ebraico di Roma a causa delle leggi razziali promulgate nel '38; lei non scambia il duce per un personaggio comico, per un attore, ma per quello che è realmente: un criminale.
Sono tornato non è un film totalmente originale ma vuole essere la risposta ad un altro lungometraggio che vede il ritorno di un altro dittatore: Er ist wieder (Lui è tornato) del 2015 diretto da David Wnendt, dove il redivivo Hitler, interpretato da Oliver Masucci (attore che ha dato il volto a Ulrich nella serie Netflix Dark), si ritrova nella Berlino del 2014. Il film di Miniero non è esente da imperfezioni ma riesce comunque a rendere l'atmosfera e le opinioni degli italiani di questi anni: non è un quadro roseo; la concezione del fascismo resta nebulosa nell'opinione pubblica. La condanna netta di un periodo carico di omicidi, libertà negate e di un'atroce guerra, sfortunatamente, non è definitiva. Un sorriso amaro, quasi nevrotico per ciò che si sta guardando, si dipinge sul volto mentre il film scorre; infine un pensiero agrodolce si insinua nella mente quando leggi in un'inquadratura, una frase quanto mai vera e orrenda: "Io non ho creato il fascismo, l'ho tratto dall'inconscio degli italiani." - Benito Mussolini.