Romanzo di una strage - recensione

28.12.2020

"Ecco la differenza che c'è tra noi e gli innominabili

di noi posso parlare perché so chi siamo e forse facciamo più schifo che spavento

di fronte al terrorismo o a chi si uccide c'è solo lo sgomento

ma io se fossi Dio

non mi farei fregare da questo sgomento

e nei confronti dei politici sarei severo come all'inizio

perché a Dio i martiri non gli hanno fatto mai cambiar giudizio"

(Giorgio Gaber, Io se fossi Dio)

Della Ragion di Stato è un'opera filosofica di Giovanni Botero, gesuita italiano vissuto nel XVI secolo. In sintesi il trattato spiega come lo Stato abbia il potere, anzi, il diritto di agire per mantenere il suo dominio anche scontrandosi e scavalcando sia le leggi naturali sia quelle positive. Per noi italiani il termine "ragion di Stato" evoca soprattutto il tumultuoso periodo che, convenzionalmente, inizia con le bombe sui treni tra primavera e estate del 1969 e si conclude il 2 agosto 1980 con la strage di Bologna, senza contare la strage del Rapido 904 perché ritenuta di matrice mafiosa.

Nonostante siano accaduti ormai cinquant'anni fa, i fatti, che ancora oggi sono ripresi e ripercorsi dalla magistratura, possono facilmente essere circoscritti all'interno di un racconto storico romanzato, per quanto siano incredibili le vicende dei protagonisti e dei comprimari: le loro relazioni con la NATO, gli Stati Uniti e alcuni settori della politica conniventi; tutto condito da movimenti degli apparati deviati dei servizi segreti. Un insieme che fa invidia ai romanzi thriller/storici di Glenn Cooper, per citare un autore contemporaneo mainstream.

Il titolo del lungometraggio di Marco Tullio Giordana non dà adito a dubbi sul significato delle parole usate: Romanzo di una strage. Film del 2012 che narra le vicende che intercorsero tra l'attentato di Piazza Fontana e l'omicidio Calabresi. Seguiremo infatti il commissario Luigi Calabresi attraverso l'autunno caldo del'69, scopriremo il suo legame con l'anarchico Giuseppe Pinelli, appartenente al circolo anarchico Ponte della Ghisolfa e l'indagine che portò avanti per sbrogliare la matassa di depistaggi, bugie e calunnie sulla strage. Si può notare come l'intreccio attraverso cui si dipanano le vicende del commissario si alterna e si concatena al racconto di varie figure implicate direttamente e indirettamente all'attentato. La prima, fra le tante, è quella di Aldo Moro, l'allora ministro degli esteri che con i suoi mezzi ricerca la verità attraverso una controinchiesta del colonnello dei Carabinieri Pio Alferano: il militare torchierà entrambe le parti extraparlamentari, da Lotta Continua a Ordine Nuovo fino ad Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie. Il fascicolo risultante verrà valutato da Moro e dal Presidente della Repubblica Saragat non pubblicabile per non destabilizzare il Paese portandolo sull'orlo di una guerra civile. Per quanto concerne Ordine Nuovo è l'altra entità politica che viene mostrata nella narrazione; nello specifico attraverso le azioni di due esponenti veneti: Franco Freda e Giovanni Ventura. (realizzatori dell'attentato ma non più perseguibili perché assolti con sentenza definitiva nell'87). L'intero lungometraggio, infine, è suddiviso a sua volta da capitoli che sono rappresentati attraverso un approccio minimale ma significativo: scritte rosse su sfondo nero ad indicare probabilmente la facilità con cui le cellule eversive anarchiche abbiano infiltrazioni tra membri di estrema destra; qui il nero (estrema destra) circonda la scritta rossa (anarchici e estrema sinistra).

Quindi un racconto alternato, schematizzato da capitoli: una scelta quasi obbligata se si parla di thriller storico/politico; la creazione minuziosa che Giordana concepisce degli avvenimenti è encomiabile. Il rischio che a volte potrebbe capitare, specialmente a chi non ha dimestichezza con la nostra storia recente, è la quantità di personaggi che prende parte a questo evento: la comprensione dell'azione, però, non è messa a repentaglio anche se è necessaria probabilmente un'attenzione più viva per lo spettatore casuale; infatti la minuziosità citata precedentemente causa una condensazione di un grande numero di fatti in "solo" due ore di film. Insomma il regista sa come muoversi per quanto riguarda la trasposizione del racconto storico recente ma non senza sbavature.

La capacità di immergere lo spettatore nella vita sociale e politica del periodo non lascia nulla al caso. Estremamente vere e nutrite le interpretazioni di tutto il cast, aiutate dalla costruzione maniacale verso l'ambientazione di fine anni '60. Valerio Mastandrea è un commissario Calabresi empatico, ligio al dovere; Pierfrancesco Favino (Pinelli) ha il gravoso compito di riportare sullo schermo un anarchico vittima dello Stato; Fabrizio Gifuni è perfetto nel suo Moro, pronto a cercare la verità fino in fondo ma disincantato e già provato dal peso della politica che di lì a pochi anni lascerà insieme alla sua vita. Tra i tanti, tutti bravi, troviamo anche Omero Antonutti (Saragat) e Giorgio Colangeli nell'impegnativo compito di dar volto e voce a Federico Umberto D'Amato: un personaggio ambiguo su tutti i punti di vista e futuro mandante, insieme a Licio Gelli, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi, della strage alla stazione di Bologna.

Un lungometraggio che è quasi un resoconto: la summa dei personaggi, fatti, inchieste, processi e sentenze che hanno infiammato il periodo e gli anni successivi. La tesi che viene a galla da questa narrazione è quanto meno abbastanza credibile (le dinamiche ancora oggi sono nebulose): l'utilizzo di due bombe diverse nell'attentato. La prima bomba è stata collocata da un esponente anarchico manipolato, Pietro Valpreda. La bomba deve esplodere a banca chiusa: deve fare un gran botto, senza morti o feriti, destabilizzando l'opinione pubblica. La seconda bomba è sistemata invece da un esponente di Ordine Nuovo, somigliante a Valpreda fisicamente: questo ordigno deve creare alcune dinamiche nell'opinione pubblica per far ottenere al governo certe leggi che in uno stato di pace non sarebbero accolte benevolmente.

Romanzo di una strage entra di diritto nella lista di film che hanno il coraggio di raccontare gli anni di piombo, la strategia della tensione in Italia e le conseguenze nei primi anni'90 come Buongiorno, notte (2003) di Marco Bellocchio, Il divo (2008) di Paolo Sorrentino, Il traditore (2019) di Bellocchio o Romanzo Criminale (2005) di Michele Placido. Il film di Giordana è stato candidato a parecchi premi italiani e internazionali; tra i tanti vinse nel 2012 il David di Donatello per gli effetti speciali visivi. Infine Michela Cescon (Licia Pinelli) e Pierfrancesco Favino (Giuseppe Pinelli) vinsero rispettivamente come miglior attrice e attore non protagonisti.

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