Odiare il Medioevo

12.11.2020

Che cosa n'è stato delle epoche passate? Degli uomini che hanno sollevato i pesi del mondo e che hanno asfaltato il terreno su cui oggi si cammina - mai troppo spesso - allegramente? Capire il tempo, il personalissimo modo di affrontare ciò che viene a schiantarsi contro la realtà, sarà un compito arduo per quanti verranno dopo. Quante cose che oggi hanno un senso, che tutti abbracciano all'unisono, non saranno - invece - comprese? La maggior parte. È utile porsi questo interrogativo ogni qual volta si cerca di riesumare una verità che appartiene al passato: mai si sarà totalmente capaci di comprendere pienamente i codici di un'altra società che ci ha preceduto, se non in maniera minima. Ci si avvicinerà, con passi silenziosi, a quanto più sembrerà verosimile, senza mai arrivare a comprendere ed afferrare davvero quella realtà. Proprio questa distanza favorisce una sbagliata interpretazione, un'idea di progresso lineare, che finisce per diventare una deformazione dannosa per la storia[1].

Il Medioevo, più di qualsiasi altra epoca, è stato gettato nel buio, portando sulle spalle il peso del giudizio di un'età legata solo alla violenza, alle barbarie, al regresso, rispetto ad una civiltà, come quella classica, in cui tutto sembrava risplendere di luce propria: arte, vita politica, virtù militari. Nel XIV secolo gli umanisti, cibatosi d'ammirazione per l'epoca classica ed esercitatosi su di un latino simile a quello dei grandi scrittori romani, misero fra parentesi i secoli che andavano dalla caduta dell'Impero Romano - la cui ultima fase venne designata in maniera peggiorativa da Montesquieu e Gibbon come «basso impero»[2], - fino al XIV secolo[3], definendo il periodo di tempo che intercorreva fra l'una e l'altra epoca Medium aevum, «età intermedia». Si è soliti pensare al Medioevo come un'epoca «buia»[4], in cui la Chiesa deteneva il controllo, gli uomini erano soggetti a torture e restrizioni, le donne soggiogate ai padri o al marito, la libertà - che si sa essere una dolorosa conquista - repressa. Bisogna quindi tenere in considerazione che l'idea di Medioevo che si ha oggi, corrisponde - piuttosto - ad un'idea sedimentata nella psicologia collettiva, più che una reale verità storica. Motivo per il quale - come sottolinea Sergi - se si afferma che durante l'ultima notte del 999 il mondo era in preda alla paura per l'arrivo dell'anno 1000, nessuno sembra meravigliarsi, malgrado la ricerca storica abbia ormai sdoganato questa convinzione[5]. La difficoltà nel comprendere davvero in che modo la società medievale agisse - non tanto socialmente, quanto piuttosto mentalmente - trova la sua ragione nella grande differenza d'interpretazione della realtà che avevano quegli uomini rispetto al nostro e all'idea di un passato come un continuum che fa della cultura medievale «l'ambito d'origine e di provenienza delle forme di vita sociale più estranee alla contemporaneità»[6]. Tutti gli eventi della vita, a prescindere da quale natura avessero, avevano confini molto più marcati dei nostri: guerra e pace, amore e odio, gioia e dolore[7].

La cosa più affasciante della dicotomia con la quale il Medioevo è visto oggi, è che - in verità - se si cominciassero a fare ricerche sulla vita di tutti coloro che vengono citati dai cronisti e a uno a uno se ne seguissero le vicende, ci si renderebbe immediatamente conto che la vita di una persona qualunque, era costellata di eventi che, in qualche modo, erano legati ad atti di violenza o che, comunque, erano inestricabilmente collegati ad un'ira nei confronti dei ricchi e del governo[8]. La paura dell'Inferno, del castigo divino, dei diavoli e delle streghe, rifletteva su tutta la società un senso di insicurezza e di minaccia. Si delinea così - più o meno - l'immagine buia che ancora oggi si associa a quest'epoca, castigandola al nero di quella vita nel quale anche gli uomini medievali credevano di affondare, nell'attesa che il mondo - da un momento all'altro - si accartocciasse su sé stesso e risucchiasse l'umanità intera.

La faccia del Medioevo che meno si conosce e che spesso passa in secondo piano per quanti non lo frequentino, è quella che ha a che fare con la sacralità che investiva ogni funzione e azione umana, perché troppo spesso soffocata dai racconti sulla crudeltà della vita. L'aspetto sociale, di cooperazione e di unità, che veniva riflesso in qualsiasi atto, sembra essere schiacciato dalla storiografia e dalla letteratura che hanno tramandato di un'epoca in cui l'uomo prende la forma di un burattino nelle mani di Dio e della paura; in cui l'anima dell'essere umano, soggiogata alla religione e alle istituzioni, non è libera di creare, di immaginare, di vivere. Cosa che non corrisponde alla realtà effettiva, essendo - quest'epoca - un momento in cui la vita tutta rispondeva al richiamo della sua pienezza. In un bellissimo saggio, chiamato Dieci modi di sognare il Medioevo[9], Umberto Eco elenca dieci diversi tipi di Medioevo, per dimostrare la varietà di facce che quest'epoca ha assunto a seconda dei campi che si prendono in considerazione; quello che ne esce fuori è l'immagine di un'età come un «contenitore di cose», che ancora oggi perdurano. Questo Medioevo, creato da uomini esattamente come quelli moderni e del quale spesso ci si dimentica, rivela il volto nascosto di un'epoca, dimostrando che, come dice lo storico Huizinga, «sono le calamità a creare la storia»[10]. Ovunque, infatti, sembra che vengano riportate solo notizie di liti, lotte e miserie e, pare, che questo sia, negli scritti dei poeti e degli storici, in tutte le testimonianze lasciatoci dai cronisti e nei documenti religiosi, l'aspetto che più interessava tramandare. Ma non è forse vero che se mai qualcuno cercasse di capire il modo in cui funziona oggi la vita, basandosi soltanto su gli atti di violenza, di rivolta, sulle morti ingiustificate con cui si fanno i conti quotidianamente, non arriverebbe a capire che solo una piccola parte di quest'epoca e del suo funzionamento? È chiaro che l'intensità della vita di allora, letta attraverso le mille sfumature che impediscono di calcare i contorni delle situazioni che si vivono ancora oggi, è portatrice di una lettura drastica di una società che sembra ragionare solo gerarchicamente. Gli uomini, che più di altri cominciano ad esprimere malinconia per la loro condizione, non sono solo - come in realtà ci si aspetta - gli uomini di Chiesa, ovvero coloro che hanno destinato la loro vita al peregrinare nei chiostri (per luogo comune - forse - condannati all'infelicità), ma anche i cronisti e i poeti, che - a differenza dei chierici - erano, secondo Huizinga, incapaci di procurare giovamento dall'intelligenza[11]: «O miserable et trés dolente vie!... /La guerre avons, mortalité, famine; /Le froid, le chaud, le jour, la nuit nous mine»[12] scriverà Jean Meschinot, la cui predestinazione al buio della vita, sembra averlo condotto - in un certo momento - all'idea di suicidarsi. Tuttavia, non si è concordi a pensare che questi poeti e scrittori fossero incapaci di sfruttare la loro intelligenza, mentre i religiosi riuscissero a sfruttare al meglio la condizione di insicurezza nella quale la società medievale affondava fino ai gomiti. Si sostiene, piuttosto, che la malinconia della vita e il buio che permeava le pareti del cuore di ogni uomo, fosse un incentivo al canto degli animi sensibili e che, quest'ultimi, non trovando giovamento nella religione - così come un chierico - e non trovandosi in una posizione sociale privilegiata, avvertissero ancora di più il peso della miseria umana, allo stesso modo in cui - in un mondo di cinque secoli più vecchio - Mario Luzi scriverà in Casa per casa[13]: «Vite piegate sotto i mali o forti/ ciascuna con il suo tributo, offrire,/ comunicare ad altri il fuoco, scendere/ nell'umile trafila finché duri/ la ricerca a tentoni della porta/ infondo a questo corridoio oscuro»[14]. Canti, entrambi, che non sono così tanto diversi: la miseria umana è ciò che accomuna gli uomini di tutte le epoche e che tutti i poeti hanno cantato.

Il recupero che viene fatto del Medioevo nel Novecento, soprattutto da parte di scrittori e poeti e, si direbbe, anche da parte del cinema, ha cercato di tessere un filo fra l'esistenza attuale e quella di quegli uomini. Bisogna porsi una domanda, la stessa che si pone Ben Lerner in Odiare la poesia: «che forma d'arte è quella che dà per scontato di non piacere al suo pubblico, e che artista è quello che condivide questa antipatia, e anzi la incoraggia?»[15].


[1] Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo, fra storia e senso comune, Donzelli Editore, Roma, , p. 15.

[2] Jacques Le Goff, L'imaginaire médiéval, éditions Gallimard, Paris, , Préface, p. 16.

[3] G. Zagrebelsky e alt., Storia e identità, vol. I, Medioevo ed Età moderna, Mondadori Education S.p.A., Milano, 2012.

[4] Jacques Le Goff, L'imaginaire médiéval, cit., Préface, p. 11: «Cette période de transition que l'époque des Lumières appellera Dark Ages, le Temps des Ténèbres, est, dès l'origine, définie par le terme Moyen Âge, concept péjoratif, comme une période, sinon négative, du moins inférieure à celle qui la suit» trad. it. «Questo periodo di transizione che l'Illuminismo chiamerà Dark Ages, il Tempo delle Tenebre, è, fin dall'inizio, definito dal termine Medioevo, concetto peggiorativo, come un periodo, se non negativo, almeno inferiore a quello che la segue».

[5] Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo, cit., p. 9.

[6] Giuseppe Sergi, L'idea di Medioevo, cit., p. 22.

[7] Johan Huizinga, Autunno del Medioevo, , titolo originale Herfsttij der Middeleeuwen, traduzione di Bernard Jasink, Collana Biblioteca Storica Sansoni, p. 3.

[8] Ivi, p. 34.

[9] Umberto Eco, Dieci modi di sognare il Medioevo, da Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano, 1985,p.78-89.

[10] Johan Huizinga, Autunno del Medioevo, p. 37.

[11] Ivi, p. 39.

[12] Ivi, p. 30. trad. it.: «O miserabile e così dolente vita! / abbiamo la guerra, la mortalità, la carestia;/ il freddo, il caldo, il giorno, la notte, ci mina».

[13] Componimento che fa parte della III parte della raccolta Onore del vero, p.206 in Mario Luzi, Poesie, vol. I, Mondadori, Milano, 2018.

[14] Mario Luzi, Poesie, vol I, cit., p. 253.

[15] Ben Lerner, Odiare la poesia, cit., p. 11.

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