La scrittura è necessaria?
La scrittura è necessaria?
Ungaretti diceva che la poesia non può definirsi e che si manifesti nel momento in cui tutto ciò che ci è caro, i sentimenti più reconditi, ci appaiono davanti nella loro assoluta verità: umana, cruda, sola dinnanzi agli eventi della nostra vita. Il poeta scrive senza sapere il perché di questa sua necessità e lo fa nella maniera più naturale possibile. La poesia è un dono, o meglio, come può essere considerata, è un momento di assoluta comunione col mondo; un momento che necessita di pazienza e di cura. La poesia è una persona che va amata, curata, non data per scontata. La poesia non è successione di parole, non sono pensieri sparsi, ma è ciò che dà vita ad una pagina bianca. La letteratura ci insegna che ci sono echi più forti di altri, scrittori più conosciuti e altri totalmente dimenticati. Appare normale, forse fin troppo, quello di leggere e considerare "letteratura" alcuni autori che rientrano in un canone, abbastanza ristretto, che fin da bambini leggiamo sulle narrative e che portiamo con noi, come fedeli amici, fino all'ultimo giorno di scuola. La letteratura non è fatta di pochi autori, di poche personalità, ma è anzi un eco forte e riverberante, assonanza di voci destinate a fare ciò che il vento fa con le pietre. La scrittura scalfisce, così come il dolore e sarebbe assurdo pensare che la scrittura, la letteratura, siano qualcosa di estraneo alla vita dell'uomo. Dietro un testo, dietro a delle parole, ci sono gli uomini. Arrivare a questa consapevolezza è come un'estasi, rendersi conto che l'arte (intesa nel senso generale) è qualcosa fatta dagli uomini per gli uomini. Siamo mittente e destinatario di un dialogo che dura da millenni.
Il dubbio è lecito e sarebbe sbagliato non porselo: la scrittura è necessaria oggi?
Nella nostra società, utilitaristica e del tutto concentrata sulla rapidità e su sentimenti pericolanti e precari, la scrittura non sembra altro che aggiungere parole su altre parole, sentimenti che difficilmente troveranno la loro realizzazione nella realtà. Sembra ingabbiare lo spirito in una rete di lettere dalle quali la realtà fatica a scrollarsi. La poesia sembra regalare solo belle immagini, quasi del tutto diverse dalla realtà. Ci regala parole per spiegare il mondo, capirlo, ma non lo può salvare. Le parole non potranno essere un'arma del tutto efficiente contro i mali del mondo, direbbe qualcuno. Una poesia non sarà motivo di rivoluzione, ci è dato pensare. Se pensiamo in questi termini, è naturale asserire che no, la poesia non è assolutamente necessaria alla vita dell'uomo.
Perché scrivere, allora? Si scrive per necessità. Una necessità insita nell'uomo che, per quanto lo neghi a se stesso, ha bisogno di lasciare traccia di sé. Robbins Crusoe, nel suo naufragio sull'Isola, si compiace del fatto di aver portato in salvo, oltre a numerosi oggetti a lui utili, anche della carta e molto inchiostro. Diventa per lui una necessità quello di appuntare le disgrazie della sua vita su un diario di bordo: per ricordare. La grandezza dell'arte (intesa in tutte le sue forme) è proprio quella di eternare. Allora potremmo parlare della funzione salvifica della scrittura, che non ci lascia crogiolare nella tristezza di essere mortali, ma che ci dà, nella forma di semplice e amabile possibile, una possibilità per rimanere sulla terra ancora per un po'. Possiamo pensare, infatti, che scrivere sia assolutamente necessario per ricordare e, leggere vecchi testi, sia necessario per renderci conto che abbiamo vissuto. Dante, nel IV canto del suo inferno, si rivolge al suo maestro dicendogli: "m'insegnavate come l'uom s'etterna", cioè: voi che m'insegnaste a scrivere. Messa su questo piano, scrivere sarebbe assolutamente importante per preservare quella piccolissima parte immortale (inesistente, o forse no. Chissà?) dell'uomo. Scriviamo affinché qualcuno possa ricordarsi di noi. Scriviamo perché abbiamo la necessità di parlare con noi stessi.
Leopardi, in quella Ginestra così tanto letta e riletta dalle più disparate persone, arriva ad una conclusione importante ed è quella che più comunemente chiamiamo "la social catena". Questa social catena dovrebbe farci rendere conto che la situazione di dolore e di infelicità ( che, per altro, è parte della vita di tutti i giorni), sia qualcosa di comune a tutti gli uomini e - per tanto - ci invita ad un gesto solidale: farsi forza vicendevolmente.
La nostra Saffo si butta da una rupe, Leucade, e in un paesaggio assolutamente calmo ("placida notte ..."), ci palesa davanti la realtà struggente: arcano è tutto, fuorché il nostro dolore. Saffo, che più di tutte le poetesse ha saputo incarnare la poesia, ci distrugge con il suo straziato canto. Dopo, il silenzio. La morte.
Dopo la scrittura, senza di questa, la morte. L'oblio.
Scrivere perché bisogna lasciare un segno e perché si possa essere parte di quel utopico (fin troppo, forse) progetto leopardiano. Essere un uomo fra gli uomini, nella maniera più semplice possibile. Guardare il mondo che sembra non rendersi conto degli universi interiori degli uomini, pieni di guerre e di dubbi, e scrivere, allora, per cercare di raccontarglielo e far sì che Leucade sia solo il trampolino di lancio.
di Valentina Salierno