La dignità conquistata: il peso di essere un artifex

Lo storico dell'arte Georges Duby, in un libro chiamato Art et société au Moyen Age (1997), racconta di come l'arte - durante il Medioevo - sia stata il tramite favorito dall'uomo per comunicare con l'altro mondo: i monumenti, le chiese, le nuove strutture che durante questo periodo sono sorte, custodivano fra le pietre il desiderio di un dialogo con Dio [1], per sacralizzare lo spazio vitale e renderlo specchio del mondo. Queste strutture, infatti, così come dice Jérome Baschet, occupano una posizione importante nella storia umana «non perché riflettano la realtà o testimonino le mentalità di un'epoca, ma perché sono coinvolte negli atti sociali» [2] e perché diventano un tramite - fra terra e cielo - che costituisce particolari configurazioni significanti. Fatto da parte il luogo comune per cui l'arte medievale è la considerata la "bibbia degli illetterati", comincia ad essere più appropriato considerarla come espressione di una società che si serve anche (e soprattutto) dell'arte per spiegarsi. Il Medioevo visse un momento di totale negazione dell'immagine, la cui condanna riverbera in numerosi passi dell'Antico Testamento e della Legge di Mosè [3]; così anche i primi cristiani, partendo dalla figura di Tertulliano, condannano le immagini per la loro propensione all'inganno e alla falsità, secondo quella che era la dottrina platonica [4]. L'Occidente medievale conobbe una storia di condanna delle immagini, fino a raggiungere nei secoli X e XI una vera e «propria rivoluzione delle immagini» [5]. Designata e forse, troppo spesso, ritenuta una semplice arte volta ad essere maestra di un popolo rozzo e incolto, il suo compito diventa quello di far comprendere che cosa bisogna adorare. Sarà proprio Papa Gregorio Magno, nell'anno 600, in una lettera a Serenus, vescovo di Marsiglia [6], a porre le basi di un'intera tradizione, che si affermerà - per l'uomo moderno - grazie alla penna del grande storico dell'arte Émile Mâle e che ancora oggi persiste nei manuali scolastici; si tratta della convinzione che l'arte di quel periodo non sia espressione sociale di un popolo ma, piuttosto, uno strumento del quale i chierici si servivano per educare le masse. Gli studi dello storico Baschet tentano di riscattare l'immagine medievale rispetto a quella che è stata la sua interpretazione sotto la formula magica della "bibbia degli illetterati" che ha ingabbiato tutta l'iconografia medievale alla scrittura dei testi dei quali si faceva interprete [7]. L'immagine iconografica, così come gli edifici del quale il Medioevo si serve, si nutrono e prendono forza dalla volontà di andare a coniugare il materiale con lo spirituale, il mondo terrestre con quello celeste, passando per quello che è lo strumento politico. Le arti visive sono considerate come degli strumenti che cercano di mettere in contatto con il divino, cercando di avvicinare l'uomo alla salvezza. Propendendo per la tesi del Baschet secondo la quale gli uomini medievali fossero davvero consci della potenza dello strumento che utilizzavano, tanto da amalgamare l'arte nelle pratiche sociali, al punto di servirsene per cercare un punto di contatto con il mondo divino, sembra quasi un paradosso collocare la figura dell'artista all'interno di questo quadro, perché - immediatamente - ci si rende conto che nonostante sembri che l'arte occupi una grande importanza, coloro che a questa dedicano la vita, sembrano essere, invece, continuamente oscurati. Lo status sociale che queste figure occupavano all'interno di una società come quella analizzata, era assolutamente secondario rispetto al primato detenuto da coloro che si dedicavano alla vita politica e alle lettere.
Si tratta di una distinzione fra due Arti, liberali e meccaniche, ben consolidata durante il Medioevo, che insigniva coloro che erano dediti a quelle liberali di uno status sociale abbastanza elevato [8]. La stessa cosa, però, non accadeva con gli artisti che, invece, erano coloro che praticavano le cosiddette Arti meccaniche; le arti visive erano considerate, a causa della componente manuale, un'attività artigianale. È significativo pensare come già nell'antica Grecia, che si sa essere stata la culla dell'arte e dell'architettura, gli artisti prendessero il nome di bánausoi, che significa «coloro che si guadagnano il pane con le mani» [9], ponendo - in questa maniera - l'artista in una condizione sociale nettamente inferiore alle altre. Più o meno nel XV secolo nacque, tuttavia, un'«esplicita volontà di emancipazione da questa condizione subalterna»[10], fino ad arrivare al XVII e nel XVIII in cui le nascenti Accademie d'Arte, divennero una rappresentanza istituzionale degli artisti [ 11]. Ci si comincia a chiedere, infatti, se sia legittimo parlare durante il Medioevo di artisti, proprio perché si tratta di un termine allora estraneo ai contemporanei e che era, sebbene raramente, utilizzato per indicare qualcuno che non praticasse arti in cui fosse richiesto il lavoro manuale [12]. Come sottolinea Enrico Castelnuovo è più significativo parlare di artifex che di artisti, tenendo in considerazione il fatto che l'accezione che oggi appartiene al termine «artista» è quasi del tutto diversa da quella che significava in passato. Durante il Medioevo, Dante, così come il Petrarca e il Boccaccio, rappresentano i primi esempi di un cantare che ha cercato di porre la figura del letterato in una vera e propria connessione con quella dell'artista [13]. Lo storico Cesare Gnudi afferma che non si possa comprendere, infatti, la grandezza e il lento consolidarsi di quella civiltà - in uno dei momenti più floridi della storia dell'Occidente - se non si tiene in considerazione «la vastità dello spazio nuovo che insieme artisti e poeti guadagnano all'umana conoscenza e all'umano sentimento» [14]. Inoltre, già nel Trecento, comincia un fervente scambio di artisti fra le corti, favoriti dai legami politici fra queste e, sempre di più, si ritrova nella documentazione attestazioni come «pictor regis» [15], dimostrando una certa dignità che l'artista andava raggiungendo con il passare del tempo, arrivando alla piena affermazione nel Quattrocento, soprattutto in Italia e nelle Fiandre [16]. Nel corso del XIV secolo - infatti - cominciano ad aumentare le testimonianze riguardo gli artisti, in un'epoca fiorente d'arte e d'artifices, che non ha conservato - almeno fino a quel momento - i nomi dei suoi autori [17]. Il recupero di questi artisti avviene sia per la documentazione, che dal Quattrocento in poi comincia ad aumentare, sia dalle testimonianze di scrittori e poeti, che tessono il nome di questi artisti nei loro componimenti. Si concorda con gli studi del Baschet, asserendo che il «linguaggio figurativo e linguaggio verbale partecipano insieme, sebbene ciascuno in modo specifico, dello stesso universo sociale e cognitivo» [18]. Diventa utile, per continuare questa analisi, pensare al legame fra arti visive e scrittura, che diede origine - basandosi su di una definizione che viene tratta dal Ars poetica di Orazio - alla questione del «ut pictura poësis», ovvero circa il rapporto fra la poesia e la pittura [19]. Si tratta, in realtà, di un legame molto più florido di quello che ci si aspetterebbe: durante il Medioevo, molte delle immagini comprendevano - infatti - delle iscrizioni e, molto spesso, queste stesse, diventavano decorazioni e immagini dei codici minati insieme alle lettere ornate [20]; per citare il Baschet: «La pagina scritta di un libro è considerata come una pictura, e lo stesso verbo pingere può designare l'atto del tracciare le lettere o quello di disegnare un'immagine»[21]. Come sottolinea Giovanni Pozzi in La parola dipinta, la comunicazione figurale ad un carme, si aggiunge a quello che è il messaggio linguistico, che - nelle intenzioni di colui che lo va a riprodurre - l'elemento principale [22]: in questo modo si va a creare una comunicazione linguistica fra il piano iconico e quello linguistico.
Gli artifex furono quindi capaci di mutare la propria arte, senza mai accettare di piegarsi allo status di artista com'era prima inteso; capaci di rivestirsi di una propria dignità che si afferma nel segno della loro arte che, a distanza di secoli, parla di uomini amati e odiati come tanti altri, il cui unico scopo era quello di servire Dio attraverso il loro linguaggio, totalmente consci della potenza dello strumento che stavano utilizzando.
di Valentina Salierno
[1] Georges Duby, Art et société au Moyen Âge, cit, p. 46: «Pour la plupart aussi, ces monuments, ces images ont servi de médiateurs, favorisant les communications avec l'autre monde», trad. it. «Anche per la maggior parte, questi monumenti, queste immagini sono servite da mediatori, favorendo le comunicazioni con l'altro mondo».
[2] Jérôme Baschet, L'iconographie médiévale, cit., p. 9.
[3] Ivi, p. 9.
[4] Ivi, p. 9.
[5] Ivi, p. 10: «Nel corso dei secoli X e XI si può collocare una decisiva «rivoluzione delle immagini», segnata specialmente dallo sviluppo delle immagini tridimensionali. Mentre in precedenza nella chiesa si collocava una semplice croce (signum crucis), si passa ora alla rappresentazione in tre dimensioni del Crocifisso (imago crucifixi)».
[6] Ivi, p. 18: è riportata la lettera di Gregorio Magno a Senenus, vescovo iconoclasta di Marsiglia: «Ciò che la scrittura (scriptura) è per quelli che leggono, l'immagine (pictura) lo offre agli ignoranti, poiché nelle immagini (pictura) essi vedono quello ciò che devono seguire In esse possono leggere coloro che ignorano le lettere (litteras)».
[7] Jérôme Baschet, L'iconographie médiévale, cit., p. 17.
[8] Antonio Pinelli, La storia dell'arte, Istruzioni per l'uso, editori Laterza, 2009, p. 15.
[9] Ivi, p. 16.
[10] Ivi, p. 15.
[11] Ivi, p. 16,
[12] Enrico Castelnuovo, Artifex bonus. Il mondo dell'artista medievale, Laterza editore, 2004, Introduzione, pag V.
[13] Ivi, Introduzione, p. X: «Ancora una volta il caso italiano è particolare: non solo le firme e le attestazioni si infittiscono, non solo i documenti si moltiplicano, ma nomi di artisti sono evocati da letterati e poeti - quali Dante, Petrarca, Boccaccio, Sacchetti - e, addirittura, messi in parallelo a quelli dei letterati, venendo in tal modo ad essere equiparati ai maggiori protagonisti delle professioni intellettuali».
[14] Cesare Gnudi, Grandezza di Simone, in Scritti di storia dell'arte in onore di Lionello Venturi, vol. I, De Luca, Roma, 1956, p. 88 - 87.
[15] Enrico Castelnuovo, Artifex bonus. Il mondo dell'artista medievale, cit., Introduzione, pag XXII.
[16] Marco Pierini, Simone Martini, cit., p. 15.
[17] Enrico Castelnuovo, Artifex bonus. Il mondo dell'artista medievale, cit., Introduzione, pag X.
[18] Jérôme Baschet, L'iconographie médiévale, cit., p. 93.
[19] Antonio Pinelli, Storia dell'arte, Istruzioni per l'uso, cit., p. 32.
[20] Jérôme Baschet, L'iconographie médiévale, cit., p. 94.
[21] Ivi, p. 94.
[22] Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Adelphi,, p. 15.